omicidio pistorius

Quanto vale la vita di una donna: la condanna di Pistorius a 6 anni

condanna di Pistorius

Era il giorno di San Valentino di tre anni fa quando Reeva Steenkamp morì per mano del suo compagno che la uccise con un colpo di arma da fuoco. In pochi conoscono il suo nome, in molti la ricordano come la fidanzata di Oscar Pistorius, ma tutti oggi possono dire che la sua vita valeva solo 6 anni.

È questa la pena a cui è stato condannato Tribunale di Pretoria che ha giudicato colpevole il responsabile dell’assassinio. La modella sudafricana era stata testimonial di una campagna antistupro prima di diventare l’ennesima vittima della violenza sulle donne e proprio da parte dell’uomo che diceva di amarla. Sorte beffarda.

Dunque così poco vale la vita di una donna? Vorremmo affermare che vale più di quanto qualunque numero possa quantificare eppure i tribunali di tutto il mondo ogni giorno si esprimono in proposito, almeno quando è possibile riconoscere un colpevole e condannarlo. Molti, troppi restano i casi insoluti. Ma molti, troppi sono anche quelli che vedono corrispondere una pena troppo lieve all’uccisione di una donna.

Reeva oggi avrebbe 33 anni, la sua bellezza continuerebbe a splendere, i suoi progetti a crescere. Invece è stata uccisa brutalmente, poi dimenticata e ricordata solo come “la donna di” e infine ridotta ad un numero ridicolo: 6 anni di reclusione per aver stroncato una vita. Ma se in primo grado l’atleta era stato condannato a 5 anni per omicidio colposo, com’è possibile che in appello, dopo aver accertato che aveva l’intenzione di ucciderla, la pena sia stata estesa di un solo anno?

Un episodio di cronaca amarissimo che riapre la riflessione mai troppo approfondita. Quanto vale la vita di una donna? Come intervenire, a livello culturale e preventivo prima ancora che legislativo e punitivo, per arginare una situazione sempre più allarmante? E la giustizia come può aiutare le donne se dispone di strumenti smussati?

Photo | Thinkstock

violenza sulle donne detenute

Violenza sulle donne detenute in Messico, Amnesty denuncia

violenza sulle donne detenute

Un recente indagine di Amnesty International ha rivelato una situazione scioccante in Messico dove si perpetra sistematicamente violenza sulle donne detenute. La guerra alla droga, ragione per cui la maggior parte di esse vengono arrestate, assume dunque un risvolto ancora più inquietante.

Su 100 detenute contattate da Amnesty, ben 72 hanno dichiarato di aver subito abusi sessuali in fase di arresto o durante gli interrogatori, 33 hanno denunciato di essere state stuprate da agenti di polizia. Maltrattamenti e torture, sia psicologici che fisici, sono all’ordine del giorno.

Secondo i risultati dell’indagine, e nonostante l’ostruzionismo delle autorità che coprono simili crimini, la tortura e la violenza sessuale sono pratiche abituali nei confronti delle persone arrestate e la violenza sulle donne ha come scopo l’estorsione di confessioni che conducono alla condanna.

“Dalle storie di queste donne emerge un quadro profondamente scioccante della dimensione della tortura contro le donne in Messico. La violenza sessuale come forma di tortura pare essere diventata parte integrante degli interrogatori”

dice Erika Guevara-Rosas, direttrice per le Americhe di Amnesty International che commenta i dati emersi dalla ricerca. Con una chiosa ancora più preoccupante: delle molte donne che segnalano la violenza subita alle autorità, poche vedono l’avvio di un’indagine, nessuna la condanna dei responsabili. Inoltre le cure mediche e psicologiche prestate a seguito delle violenze e delle torture sono scarse o addirittura assenti.

Si tratta quasi sempre di donne che provengono da contesti di degrado ed emarginazione, che non hanno accesso ad una adeguata tutela legale e diventano bersaglio facile per le autorità che abusano del loro potere senza punire i responsabili delle torture, in aperta violazione delle leggi internazionali sui diritti umani.

Molte donne hanno dichiarato di aver subito abusi sessuali, di essere state picchiate e colpite con scariche elettriche, molestate e palpeggiate quando non addirittura stuprate in gruppo, sia durante la detenzione che nel corso degli interrogatori.

Secondo i dati disponibili, solo nel 2013 sono state sporte in Messico oltre 12.000 denunce di torture e maltrattamenti, ben 3618 delle quali da parte di donne. Negli ultimi anni si sono addirittura raddoppiate. Le inchieste riguardano però un numero limitato di casi e molte volte gli indagati tornano in servizio dopo una breve sospensione.

“La mancanza di indagini adeguate e di processi nei confronti dei responsabili manda un messaggio pericoloso: stuprare le donne o usare contro di loro altre forme di violenza sessuale per estorcere ‘confessioni’ non solo è tollerato ma è anche permesso. Le autorità messicane sembrano determinate a nascondere questa situazione”

continua Guevara-Rosas. Il Ministero per l’Interno ha provato ad agire istituendo una task force federale per vigilare sulla tortura sessuale contro le donne. Al momento però la task force è ancora inattiva.

Photo | Thinkstock

Viaggi di lavoro in famiglia, solo le donne viaggiano in economica

business-coach-1317868_640

Un articolo molto interessante, redatto dal Daily Mail Online, parla di una moda sempre più diffusa: gli uomini d’affari fanno viaggi di lavoro con le mogli e i figli al seguito ma mentre per se stessi prenotano un posto in Business Class, il resto della famiglia “si trasferisce” volando in seconda classe

#1oradamore, l’educazione sentimentale a scuola sarà legge?

educazione-sentimentale

Per un’ora d’amore non so cosa darei, cantava Antonella Ruggiero tanti anni fa ma in questo caso non sono solo canzonette quelle di cui parliamo, tanto per restare nella metafora canora. Alla Camera dei deputati infatti è partito l’iter per l’introduzione dell’ora di educazione sentimentale a scuola. L’ora d’amore, per davvero.

Ha un suono assai poetico ma una sostanza molto concreta e seria. La proposta di legge in esame presso la Commissione istruzione e cultura suggerisce l’importanza di inserire nei programmi scolastici italiani un programma di educazione all’affettività. Il percorso sarà lungo e articolato ma un piccolo passo avanti è già stato fatto.

L’idea che muove questa interessante proposta è quella di agire sul fronte della prevenzione educando i più giovani al rispetto e all’amore. Una vera e propria battaglia culturale quella di cui la legge si fa promotrice allo scopo di cambiare l’atteggiamento delle persone nei confronti di tematiche scottanti che riguardano la società e spesso partono proprio dall’età scolastica: bullismo, violenza di genere, discriminazione.

La stesura della proposta di legge ha visto una larga parrtecipazione dal basso con il coinvolgimento diretto di centri antiviolenza, ascoltati per riflettere sulle misure più efficaci da adottare per la prevenzione della violenza da affiancare alle leggi punitive o securitarie. Sono stati ascoltati e coinvolti anche dirigenti scolastici e insegnanti, associazioni e movimenti, case editrici e giornalisti oltre a psicologi e pedagogisti.

Il percorso è nato tre anni fa con la campagna #1oradamore lanciata dall’associazione daSud su Change.org. L’idea era quella di far conoscere la proposta di legge e condividerla perché crescesse, si sviluppasse e assumesse contorni sempre più chiari e definiti fino al suo approdo in Parlamento.

Già esistono, d’altronde, diverse realtà che praticano concretamente questa educazione alle differenze. Le associazioni impegnate attivamente su questo fronte hanno dunque partecipato raccontando le proprie esperienze in modo da consentire una migliore messa a fuoco del problema e del modo migliore per agire.

Sul fronte istituzionale, inoltre, già la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne chiedeva agli stati ratificanti di inserire l’educazione all’affettività nei programmi scolastici, che nei paesi del Nord Europa è effettivamente già attiva da molti decenni. In Italia nel corso degli anni si è fatto qualche sforzo per introdurre a scuola l’educazione sessuale, ma per lo più a fini di prevenzione sotto il profilo della salute prima che da un punto di vista culturale. Come andrà a finire?

L’Enfant-Femme di Rania Matar, bambine quasi donne

l'enfant-femme di rania matar

L’Enfant-Femme di Rania Matar è un progetto fotografico che non mancherà di suscitare le consuete polemiche ma si rivela molto interessante nel rilevare come le bambine di oggi diventino donne.

L’idea nasce dal desiderio di raccontare il farsi donne delle bambine tra Stati Uniti e Medio Oriente, rilevando le differenze, certo, ma soprattutto le similarità. In mondi che appaiono lontanissimi, oggi forse più che mai, le bambine tra i 7 e gli 12 anni si atteggiano già a giovani donne, lo sono in potenza e cominciano a mostrarlo anche nel modo in cui si pongono.

Il progetto fotografico è un vero e proprio viaggio che attraversa l’area metropolitana di Boston e il Libano, due aree circoscritte che hanno un valore personale per l’artista dal momento che vive nella città americana ma è di origini libanesi. Due luoghi simbolici che riassumono e raccontano le differenze e le somiglianze tra due culture e il diverso atteggiamento verso la femminilità. Sorprendentemente, le fotografie rivelano quanto le bambine di oggi siano simili in ambedue i contesti.

“Si vivono le stesse transizioni, qui negli Stati Uniti o laggiù in Libano. – dice Matar in un’intervista – C’è una qualche universalità nel modo in cui si percepisce l’essere donne. Per quanto mi riguarda, io lo sono che sia libanese o americana. Siamo noi stessi a creare le barriere ma questo progetto intende distruggerle.”

E lo fa, ci sembra, anche in modo un po’ provocatorio eppure al tempo stesso puro e genuino, offrendo uno sguardo scevro da pregiudizi proprio grazie a questa compresenza di visione negli occhi dell’artista che vive tra due mondi, due culture, due universi. In tutto diversi, meno che nell’essenza: siamo donne a tutte le latitudini e ad ogni età e scoprire il guizzo della femminilità proprio mentre sboccia ha qualcosa di commovente.

“L’unica cosa che ho chiesto alle bambine era di non sorridere, per il resto le ho lasciate libere di assumere la posa che volessero.”

Così Matar racconta la genesi del progetto che aveva come scopo ritrarre le bambine e le ragazze così come sono e di sentono di essere, libere di interagire con l’obiettivo e di esprimere se stesse. Sono emersi la disinvoltura o la sua mancanza, la sicurezza di sé o la timidezza, una prima sensualità o l’innocenza ancora bambina. Ma in tutti i casi emerge una più o meno esplicita consapevolezza del proprio essere donne in boccio, che si tratti della ragazzina ricca dei sobborghi di Boston o che si ritragga la bambina che vive in un campo profughi in fuga dalla guerra.

Lazio, arriva il protocollo d’intesa contro pregiudizi e stereotipi

television-news-reporting-490684_1280

Ci sono monitoraggi periodici legati alla presenza delle donne nei mezzi di comunicazione, monitoraggi che valutano anche il proliferare di stereotipi e pregiudizi legati al gentil sesso. Evidentemente sono ancora troppi, tanto che la Regione Lazio ha dovuto provvedere ad un Protocollo d’Intesa. 

sindaco di roma virginia raggi

Chi è il nuovo sindaco di Roma Virginia Raggi

sindaco di roma virginia raggi

È il più giovane sindaco della capitale ed è la prima donna a conquistare la guida del più importante comune d’Italia: parliamo del nuovo sindaco di Roma Virginia Raggi, candidata del Movimento 5 Stelle e già consigliere comunale dal 2013. Scopriamo chi è in 7 punti.

Formazione

37 anni, nata nella borgata Ottavia nella zona nord-ovest di Roma, la Raggi è cresciuta nel quartiere San Giovanni. Ha studiato Giurisprudenza all’Università di Roma Tre specializzandosi in proprietà intellettuale, diritto d’autore e nuove tecnologie.

Famiglia

Virginia Raggi è anche una mamma oltre che una donna impegnata nella carriera e in politica. Insieme al marito Andrea Severini ha un bambino di 7 anni. La vita privata, tuttavia, rimane riservata. Il nuovo sindaco di Roma ha dimostrato di essere molto telegenica e dotata di grandi capacità di comunicazione – anche sui social – ma ha sempre scelto di mantenere un basso profilo riguardo al proprio privato nonostante qualche tentativo di intrusione relativo a ipotetiche crisi di coppia.

Marito

Il marito Andrea Severini ha 43 anni e lavora come regista radiofonico. È stato al centro dell’interesse mediatico per la pubblica lettera di sostegno che ha indirizzato alla moglie neo-eletta. Anche Severini è militante del Movimento 5 Stelle ed è particolarmente interessato a tematiche relative ad ambiente e sostenibilità, che condivide con la moglie.

Carriera professionale

Avvocato, si occupa di diritto civile presso lo studio legale Sammarco. Tra i consulenti dello studio figura anche un penalista che ha difeso Previti, Dell’Utri e Berlusconi in diversi processi e ciò è stato motivo di perplessità tra i simpatizzanti del Movimento 5 Stelle che hanno sempre puntato su un’immagine integerrima. Tanto da far firmare ai propri candidati un contratto con cui si impegnano a dimettersi e pagare una salata penale ove arrechino danno all’immagine del Movimento.

Carriera politica

La carriera politica di Virginia Raggi in seno al Movimento 5 Stelle è iniziata nel 2011 e nel 2013 è stata eletta consigliere comunale. Si è occupata principalmente di tematiche relative a scuola e ambiente. Lo scorso Febbraio, con una votazione online, è stata scelta dagli attivisti 5 Stelle per la corsa amministrativa. Il 19 Giugno, al ballottaggio con Giachetti del Partito democratico, è diventata il primo sindaco donna della capitale.

Tematiche

Con i suoi “11 passi per Roma” la Raggi ha portato avanti un programma elettorale molto attento all’ambito sociale, dal diritto alla casa e all’istruzione fino alle risorse da destinare alle periferie passando per trasparenza, rifiuti, mobilità e sicurezza.

Immagine

Lontana da certe personalità un po’ scalmanate che talvolta sono emerse dalle fila dei grillini (ma non solo), Virginia Raggi ha dimostrato un aplomb invidiabile. Sceglie sempre uno stile sobrio e misurato ma moderno, sia nell’abbigliamento e nel trucco che nell’atteggiamento.

Photo | Thinkstock

anello di fidanzamento

L’anello di fidanzamento è fuori moda

anello di fidanzamento

Quando si parla di tradizioni l’Italia non è seconda a nessun’altra nazione e tuttavia persino nel paese dell’amore si assiste ad una continua flessione di certe usanze. È tanto più vero nel caso dei matrimoni che sempre più spesso seguono tendenze internazionali e rinunciano alle tradizioni locali. A ben guardare si tratta di una tendenza più generale che vede anche il settore degli anelli di fidanzamento andare in crisi.

Sarà vero che in tempi di recessione economica avere a disposizione un certo budget per acquistare un anello impegnativo diventa più difficile eppure pare che la tendenza riguardi più in generale il significato stesso dell’anello di fidanzamento classicamente inteso.

I millennials, noti anche come generazione Y, cioè tutti coloro che sono nati tra la fine degli anni Ottanta e il 2001, tendono a sposarsi sempre più tardi rifiutando, con le dovute eccezioni, tutti i rituali tradizionali connessi al matrimonio vecchio stile. In molti casi scelgono la convivenza e anche quando decidono di sposarsi optano per gioielli che tengono conto di fattori diversi nella scelta del classico anello di fidanzamento.

Gli elementi che influiscono sulla scelta sono naturalmente i costi ma anche la sostenibilità e il materiale del gioiello. Si preferiscono pietre cruel-free, si favoriscono gemme colorate come gli zaffiri o si dà spazio addirittura ai diamanti sintetici. Si punta inoltre su un gioiello più particolare in luogo del consueto solitario uguale a quello di migliaia di altre persone.

Il declino dell’anello di fidanzamento classico è un segno di tempi che testimonia non solo un atteggiamento diverso nei confronti della vita e del matrimonio ma anche una maggiore attenzione alla diversificazione e alla produzione sostenibile.

Per rispondere a questa preoccupante flessione nella richiesta di diamanti la Diamond Producers Association ha messo a punto una massiccia campagna pubblicitaria per rinnovare l’interesse verso la preziosa pietra simbolo di amore eterno. Si punta sui social media per raggiungere proprio la fascia di mercato composta dai millennials. Avrà successo?

Photo | Thinkstock