Mai più spose bambine, la campagna di Amnesty International

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Un evento e una campagna che puntano a sconvolgere i benpensanti e informare su un fenomeno ancora troppo diffuso, quello dei matrimoni precoci. Le spose bambine sono tante, ancora troppe e secondo Amnesty International occorre fare pressione sui governi affinché approvino leggi per contrastare il fenomeno. 

donne yazide

Donne yazide abbandonate, la denuncia di Amnesty

donne yazide

Sono state dimenticate e abbandonate, denuncia Amnesty International, le donne yazide sopravvissute alle violenze dell’IS. Le ragazze e le donne catturate e ridotte in schiavitù, picchiate e struprate dai gruppi che si auto-definiscono Stato Islamico, non hanno ricevuto alcun sostegno dalla comunità internazionale.

Lo scorso Agosto, i ricercatori di Amnesty che si battono per il rispetto dei diritti umani hanno incontrato nel Kudistan iracheno 18 donne catturate dall’Is e poi fuggite o rilasciate dopo il pagamento di un riscatto da parte delle famiglie. Oltre allo stato di choc per le sofferenze e le torture subite, versano in condizioni di miseria e sono state abbandonate dalla comunità internazionale. Molte altre sono ancora sotto sequestro nelle mani dell’Is.

Le testimonianze raccolte hanno messo in evidenza una situazione gravissima, sia per ciò che riguarda le condizioni fisiche e psicologiche delle donne sopravvissute che relativamente alle ragazze ancora prigioniere. Non è stato fatto niente per aiutarle ad affrontare la situazione né sono state fornite cure e sostegno per aiutarle a tornare ad una vita normale.

La comunità yazida è stata presa di mira dall’Is sin dal 2014, quando i gruppi armati hanno attaccato la regione del Sinjar, nell’Iraq nord-occidentale, dove vivono. A migliaia sono stati catturati e massacrati, altri sono stati minacciati di morte se avessero rifiutato di convertirsi all’Islam, numerose donne sono state stuprate, picchiate, torturate, rapite o uccise. In alcuni casi sono diventate merce di scambio tra combattenti e rese schiave dei sequestratori.

Le donne incontrate da Amnesty International hanno raccontato di essere state separate dai figli. I bambini sono stati rapiti e indottrinati per diventare combattenti, le bambine sono state vendute come schiave del sesso. Sarebbero circa 3800 le donne e i bambini yazidi ancora in mano all’Is. Degli uomini non si conosce la sorte, anche se si suppone che la maggioranza sia stata sterminata.

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violenza sulle donne detenute

Violenza sulle donne detenute in Messico, Amnesty denuncia

violenza sulle donne detenute

Un recente indagine di Amnesty International ha rivelato una situazione scioccante in Messico dove si perpetra sistematicamente violenza sulle donne detenute. La guerra alla droga, ragione per cui la maggior parte di esse vengono arrestate, assume dunque un risvolto ancora più inquietante.

Su 100 detenute contattate da Amnesty, ben 72 hanno dichiarato di aver subito abusi sessuali in fase di arresto o durante gli interrogatori, 33 hanno denunciato di essere state stuprate da agenti di polizia. Maltrattamenti e torture, sia psicologici che fisici, sono all’ordine del giorno.

Secondo i risultati dell’indagine, e nonostante l’ostruzionismo delle autorità che coprono simili crimini, la tortura e la violenza sessuale sono pratiche abituali nei confronti delle persone arrestate e la violenza sulle donne ha come scopo l’estorsione di confessioni che conducono alla condanna.

“Dalle storie di queste donne emerge un quadro profondamente scioccante della dimensione della tortura contro le donne in Messico. La violenza sessuale come forma di tortura pare essere diventata parte integrante degli interrogatori”

dice Erika Guevara-Rosas, direttrice per le Americhe di Amnesty International che commenta i dati emersi dalla ricerca. Con una chiosa ancora più preoccupante: delle molte donne che segnalano la violenza subita alle autorità, poche vedono l’avvio di un’indagine, nessuna la condanna dei responsabili. Inoltre le cure mediche e psicologiche prestate a seguito delle violenze e delle torture sono scarse o addirittura assenti.

Si tratta quasi sempre di donne che provengono da contesti di degrado ed emarginazione, che non hanno accesso ad una adeguata tutela legale e diventano bersaglio facile per le autorità che abusano del loro potere senza punire i responsabili delle torture, in aperta violazione delle leggi internazionali sui diritti umani.

Molte donne hanno dichiarato di aver subito abusi sessuali, di essere state picchiate e colpite con scariche elettriche, molestate e palpeggiate quando non addirittura stuprate in gruppo, sia durante la detenzione che nel corso degli interrogatori.

Secondo i dati disponibili, solo nel 2013 sono state sporte in Messico oltre 12.000 denunce di torture e maltrattamenti, ben 3618 delle quali da parte di donne. Negli ultimi anni si sono addirittura raddoppiate. Le inchieste riguardano però un numero limitato di casi e molte volte gli indagati tornano in servizio dopo una breve sospensione.

“La mancanza di indagini adeguate e di processi nei confronti dei responsabili manda un messaggio pericoloso: stuprare le donne o usare contro di loro altre forme di violenza sessuale per estorcere ‘confessioni’ non solo è tollerato ma è anche permesso. Le autorità messicane sembrano determinate a nascondere questa situazione”

continua Guevara-Rosas. Il Ministero per l’Interno ha provato ad agire istituendo una task force federale per vigilare sulla tortura sessuale contro le donne. Al momento però la task force è ancora inattiva.

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Diritti umani in pericolo, la denuncia di Amnesty

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Il nuovo Rapporto 2015-2016 di Amnesty International lancia un’accusa e un allarme: i diritti umani sono in pericolo in tutto il mondo a causa dell’attacco sistematico non solo ai diritti ma anche alle istituzioni e alle leggi che dovrebbero proteggerli.

Secondo il rapporto i diritti delle persone non solo sono costantemente violati in paesi nei quali la situazione è tristemente nota per non essere idilliaca, ma anche nelle civilissime nazioni occidentali che adottano sempre più spesso misure di sicurezza le cui conseguenze minano alla base le fondamenta stesse delle istutuzioni che dovrebbero garantire i diritti delle persone.

Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International, spiega che i diritti umanii sono considerati sempre più spesso con aperto disprezzo da parte di molti governi nazionali in tutto il mondo e continua:

“Milioni di persone stanno patendo enormi sofferenze nelle mani degli stati e dei gruppi armati, mentre i governi non si vergognano di descrivere la protezione dei diritti umani come una minaccia alla sicurezza, alla legge, all’ordine e ai valori nazionali.”

I governi attaccano o depotenziano le istituzioni create per proteggere i diritti umani ignorandone l’operato o riducendo i finanziamenti. In questo modo ad essere minacciati non sono solo i diritti apertamente calpestati ma anche gli strumenti nati per difenderli.

Solo nel 2015 più di 122 paesi hanno praticato maltrattamenti o addirittura la tortura, oltre 30 paesi hanno rifiutato l’accoglienza ai rifugiati ricacciandoli illegalmente nei paesi di provenienza da cui fuggivano perché in situazione di grave pericolo. Almeno 19 paesi hanno commesso crimini di guerra.

Ciò non riguarda solamente i paesi con governi instabili o condizioni ai limiti della guerra, o apertamente in guerra, ma anche nazioni dotate di tutte le misure di tutela dei diritti umani internazionalmente riconosciuti.

Sintomo di ciò è il continuo attacco nei confronti di attivisti, avvocati e associazioni che si occupano della difesa dei diritti umani, con azioni dirette o con politiche atte a sminuirne il lavoro e il valore. In parte questo atteggiamento è una reazione alle minacce alla sicurezza che hanno raggiunto lo scorso anno livelli molto preoccupanti. Continua Shetty:

“La malconcepita reazione di molti governi alle minacce alla sicurezza nazionale si è tradotta in un attacco alla società civile, al diritto alla riservatezza e a quello alla libertà di parola. Siamo di fronte al palese tentativo di rendere i diritti umani parole sporche, di contrapporli alla sicurezza nazionale e ai ‘valori nazionali’. Per far questo, i governi hanno persino violato le loro stesse leggi.”

Amnesty fornisce esempi concreti di quanto affermato parlando del conflitto siriano e delle sue conseguenze sui flussi migratori ma anche di episodi di repressione in Arabia Saudita nei confronti di chi chiede riforme; in Cina verso coloro che chiedono più libertà; in Egitto, dove molte persone vengono detenute senza processo e spesso sono condannate a morte; in Gambia, dove il rifiuto a cooperare con le Nazioni Unite fa il paio con torture, sparizioni forzate e criminalizzazione dell’omosessualità.

Sono solo alcuni dei casi più eclatanti di violazioni dei diritti umani che non risparmiano neanche le nazioni occidentali. Nel Regno Unito vige una costante sorveglianza di massa giustificata con le misure di lotta al terrorismo. In Russia si adotta un sistema repressivo di leggi sulla sicurezza nazionale. In Slovacchia si discriminano pesantemente le popolazioni rom. Negli Stati Uniti è ancora irrisolto il caso del centro di detenzione di Guantanamo.

Amnesty ha lanciato una campagna di sensibilizzazione chiedendo a Roberto Saviano di farsi portavoce di un messaggio importante. Al centro del messaggio c’è il brano Here’s to you di Ennio Morricone e Joan Baez che negli anni Settanta raccontò la storia di Sacco e Vanzetti, condannati a morte ingiustamente. Le ingiustizie sono ancora troppe, ovunque, ed è necessario far sentire la propria voce per dar voce a chi non ha la possibilità di far sentire la sua.

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amnesty contro le spose bambine

Amnesty contro le spose bambine

amnesty contro le spose bambine

Amnesty International Italia lancia la nuova campagna contro le spose bambine per protestare contro i matrimoni precoci e forzati a cui sono obbligate le giovanissime donne, negando loro l’infanzia, in molti paesi del mondo.

Ogni anno, secondo una stima del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, sono 13 milioni e mezzo le ragazze costrette a prendere marito prima dei 18 anni. Gli uomini sono sempre molto più vecchi di loro. A 37.000 bambine al giorno – un dato spaventoso – viene negato il diritto ad essere tali, divenendo spose e spesso madri loro malgrado.

Per dire basta e proteggere le bambine dai matrimoni forzati e dalla violenza che ne deriva, Amnesty ha lanciato una campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi partita il 18 Ottobre e attiva fino al prossimo 1 Novembre.

Il margine di intervento in questi caso è molto limitato, perché le bambine vengono isolate e perdono ogni libertà, allontanate come sono da famiglia, amici e qualunque sostegno sociale (in molti casi del tutto inesistente) e dunque soggette ad ogni genere di violenza e abusi. Molte di loro restano incinte e partoriscono quando sono ancora soltanto bambine.

Tra i personaggi pubblici che sostengono la campagna ci sono Antonella Elia, Chiara Galiazzo, Giovanna Gra, Dacia Maraini, Simona Marchini, Veronica Pivetti, Marina Rei e Sveva Sagramola. Attraverso testimonial importanti e un impegno che deve essere di tutti si tenta di portare alla luce un problema che ha forti radici nella povertà e nell’arretratezza culturale, da cui è difficile emanciparsi. Accrescendo l’attenzione del mondo sul problema, si tenterà quindi di richiamare anche l’attenzione dei governi dei paesi in cui la pratica è comunemente accettata affinché vengano prese le idonee misure per eliminarla.

Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite è attivo dal Luglio scorso in questa battaglia per l’eliminazione dei matrimoni precoci e forzati e ha emamanto una Risoluzione che invita i governi e le società a monitorare e impedire questo fenomeno. Ma non è sufficiente e basta sentire le storie delle ragazze costrette a sposarsi da bambine per capire che c’è ancora molta strada da percorrere.

In moltissimi casi le donne intervistate, in ogni angolo del mondo dove la pratica del matrimonio precoce è diffusa, hanno dichiarato di essere state contrarie alle nozze e di aver subito violenza e abusi da parte degli uomini che le considerano una proprietà, che si tratti dei loro padri o dei loro mariti. Le famiglie accettano queste pratiche e si rifiutano di fornire aiuto alle figlie, che non di rado vengono letteralmente vendute al marito.

In Yemen vengono concesse in sposa bambine di appena 8 anni. Le ragazzine siriane rifugiate in Giordania vengono spesso date in sposa a giordani che visitano il campo rifugiati di Zaatari in cerca di bambine da sposare.

Anche in Iran le donne sono puntualmente vittime di abusi perché considerate subalterne rispetto agli uomini in materia di matrimonio, divorzio e custodia dei figli. L’età legale per il matrimonio è di 13 anni ma possono essere concesse in sposa anche a età inferiori, se il tribunale concede un permesso, cosa che accade spesso. Anche in Burkina Faso la situazione è simile, le ragazze si sposano a 11 anni con uomini che hanno da 30 a 50 anni più di loro.

E se il Mahgreb sta via via facendo qualche passo avanti in questo senso, non è così nelle zone meridionali dell’Asia dove il 46% delle ragazze è costretto sposarsi prima dei 18 anni. Il Bangladesh è il paese che, secondo l’Unicef, ha il più alto tasso di matrimoni di bambine sotto i 15 anni. In Afghanistan, addirittura, dati del 2004 hanno rivelato che il 57% delle donne intervistate si era sposata prima dei 16 anni e in qualche caso a 9 anni.

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Grecia, Amnesty International denuncia le condizioni infernali a Kos

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Amnesty International Italia ha aderito all’iniziativa “La marcia delle donne e degli uomini scalzi” in sostegno dei migranti, dei rifugiati e dei richiedenti asilo che troppo spesso sono vittime di politiche migratorie che danno priorità alla difesa dei confini piuttosto che alla vita umana.

Alla marcia, lanciata da personalità del mondo dello spettacolo, della cultura e del giornalismo, stanno aderendo insieme ad Amnesty International Italia numerose altre associazioni e realtà della società civile italiana che si occupano dei diritti dei migranti, dei rifugiati e dei richiedenti asilo. L’iniziativa si svolgerà venerdì 11 settembre in diverse città italiane, tra cui Milano, Venezia, Palermo e Cosenza. La lista è in continuo aggiornamento, motivo per cui è possibile visitare il sito donneuominiscalzi.blogspot per ogni news.

Tutto ha avuto inizio al termine di una ricerca condotta a Kos, dove Amnesty International ha auspicato che la visita dei commissari europei Timmermans e Avramopoulos sull’isola greca fosse determinante per un’ azione immediata finalizzata a porre fine alla sofferenza di migliaia di rifugiati, tra cui molti bambini.

Amnesty International ha potuto osservare le condizioni complessivamente drammatiche in cui si trovano i rifugiati sull’isola, verificando la presenza di neonati di una settimana tra le moltitudini di persone costrette a rimanere anche per giorni sotto un sole cocente in attesa di essere registrati dalle autorità locali. I ricercatori dell’organizzazione per i diritti umani hanno intervistato minori non accompagnati detenuti in condizioni deplorevoli insieme a persone adulte.

“I rifugiati che abbiamo incontrato a Kos fuggono dalla guerra e dalla persecuzione in paesi come Siria, Afghanistan e Iraq. Alcuni sono con le loro famiglie, altri hanno viaggiato soli. Le infernali condizioni in cui sono costretti a stare e l’indifferenza delle autorità sono agghiaccianti”  ha dichiarato Kondylia Gogou, ricercatrice di Amnesty International sulla Grecia.

Attaccati nella notte

La notte scorsa, Amnesty International è stata testimone oculare dell’aggressione subita da un gruppo di rifugiati ad opera di circa venti persone armate di bastoni che gridavano “Tornatevene a casa vostra!” e urlavano insulti. Gli aggressori hanno anche minacciato gli attivisti presenti (uno di loro è stato lievemente ferito e gli è stata sottratta la macchina fotografica) e un ricercatore di Amnesty International. Solo ad aggressione iniziata è intervenuta la polizia anti-sommossa che ha lanciato gas lacrimogeni, disperdendo gli aggressori.

Condizioni inumane

Durante la ricerca di Amnesty International, sull’isola si trovavano dai 3000 ai 4000 rifugiati. In assenza di qualsiasi struttura ufficiale di accoglienza, la maggior parte di loro attendeva in condizioni squallide di essere registrata per poter proseguire il viaggio verso la terraferma greca e oltre. La maggior parte dei rifugiati proveniva da Siria, Afghanistan e Iraq.  Secondo la guardia costiera greca, dall’inizio dell’anno sull’isola di Kos sono arrivati oltre 31.000 rifugiati, con un picco a partire da luglio.

La maggior parte dei rifugiati, non potendo pagare una sistemazione, era costretta a dormire in tende all’aperto in condizioni spaventose oppure in ciò che resta dell’hotel Capitano Elia. Gli abitanti e Medici senza frontiere hanno fornito aiuti, mentre le autorità locali hanno prestato ben poca assistenza, chiudendo addirittura i bagni pubblici.

Alla registrazione dei rifugiati è stata adibita una vecchia stazione di polizia. Amnesty International l’ha visitata il 2 settembre trovandovi 100 rifugiati, tra cui una neonata di una settimana in braccio alla madre, che sedeva in terra in un cortile. Alle persone in attesa non era stata fornita acqua. L’unica protezione contro la calura estiva era un ombrellone al centro del cortile, sotto il quale c’era posto per poche persone.

Le informazioni sui diritti e l’identificazione dei gruppi vulnerabili erano fornite non dalle autorità locali ma dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati.

La situazione era ulteriormente aggravata dalla riluttanza delle autorità locali ad aprire un centro permanente di accoglienza con sufficienti posti a disposizione e dalla mancanza di una risposta coordinata ed efficace. A metà agosto, queste carenze sono emerse in tutta la loro evidenza, quando 2000 persone sono state chiuse in condizioni inumane all’interno dello stadio dell’isola. La polizia avrebbe fatto uso eccessivo della forza contro i rifugiati in attesa di essere registrati.

Raccomandazioni

Per le ragioni citate, Amnesty International sollecita

–  le autorità di Kos a cooperare con quelle centrali per allestire centri di accoglienza e rifugi in cui le persone appena arrivate possano restare, in condizioni umane, fino alla fine delle necessarie procedure di registrazione. Le autorità locali dovranno immediatamente portare i minori non accompagnati in strutture appropriate e, una volta terminata la registrazione, trasferirli nei centri per minori non accompagnati sulla terraferma greca;

– le autorità nazionali ad attuare velocemente i piani annunciati il 3 settembre in una conferenza stampa, tra cui l’invio urgente a Kos di personale di prima accoglienza (analogamente a quanto fatto a Lesbo e Samo) che possa agevolare l’identificazione dei gruppi vulnerabili di rifugiati. Le autorità nazionali dovranno inoltre assicurare che i funzionari responsabili per la gestione dei fondi europei (come il Fondo d’integrazione per l’asilo e l’immigrazione) agiscano con la massima velocità possibile;

– l’Unione europea ad assistere le autorità greche con finanziamenti tratti dai fondi di solidarietà e di emergenza, in modo da poter gestire l’attuale crisi. La Grecia ha inoltre bisogno di supporto logistico e operativo per venire incontro ai bisogni delle persone che arrivano a Kos. Ancora più importante, nel più lungo termine gli stati membri dell’Unione europea dovranno alleviare la pressione sulla Grecia attraverso una profonda riforma del sistema d’asilo europeo e predisponendo più percorsi legali e sicuri verso l’Europa per coloro che necessitano di protezione. Questo dovrebbe essere fatto attraverso l’aumento dei posti per il reinsediamento dei rifugiati più vulnerabili identificati dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati, un più ampio uso dei visti per motivi umanitari e migliori opzioni per i ricongiungimenti familiari.

“Siamo di fronte a una crisi su tutti i livelli. A Kos, le autorità locali non intendono fornire l’assistenza necessaria, le autorità nazionali greche non sembrano in grado di garantirla e i leader europei esitano di fronte a una sempre più acuta crisi umanitaria” – ha concluso Gogou.

Foto | danielo x Shutterstock

 

Amnesty International e la depenalizzazione della prostituzione

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Si torna a parlare di prostituzione e la domanda è sempre la stessa: legalizzare o vietarla? Ad animare il dibattito ci sono: Amnesty International, associazione nata per la difesa dei diritti umani che si schiera a favore della depenalizzazione, e un gruppo di attrici hollywoodiane – come Meryl Streep e Kate Winslet – che vi si oppongono fermamente.

Lo scontro è nato durante la preparazione del documento preparato dall’Associazione nell’ International Council Meeting a Dublino, assemblea di Amnesty che si tiene ogni due anni per pianificare programmi e funzioni.

Il testo è a sostegno della “criminalizzazione della prostituzione non fa altro che aumentare la discriminazione nei confronti di coloro che vendono sesso, mettendoli più a rischio di persecuzioni e violenze, inclusi gli abusi da parte della polizia per una migliore tutela possibile dei diritti umani dei lavoratori e lavoratici del sesso, attraverso misure che includono la depenalizzazione della prostituzione”.

Con la pubblicazione della bozza del documento, sono nate le prime proteste soprattutto da parte delle organizzazioni femministe , che hanno portato alla stesura di una lettera aperta della Coalition Against Trafficking in Women:

Ogni giorno combattiamo l’appropriazione maschile del corpo delle donne, dalle mutilazioni genitali ai matrimoni forzati, dalla violenza domestica alla violazione dei loro diritti riproduttivi. Pagare denaro per una simile appropriazione non elimina la violenza che le donne subiscono nel commercio del sesso. È incomprensibile che un’organizzazione per i diritti umani della levatura di Amnesty International non riesca a riconoscere che la prostituzione è una causa e una conseguenza della diseguaglianza di genere.

Tra i firmatari di tale documento anche numerosi attrici americane come Meryl Streep, Carey Mulligan Kate Winslet, Anne Hathaway, Emily Blunt, Emma Thompson, l’attore Kevin Kline e il regista Jonathan Demme.

Molly Smith, prostituta e attivista, ha commentato l’accaduto sulle pagine del Guardian con parole sardoniche, accusando le attrici di “aggredire Amnesty per il fatto oltraggioso di basare la sua politica su quello che diciamo noi che vendiamo sesso”.

Foto |Photographee.eu x Shutterstock

Fonte | 27oraCorriere

violenza donne

Rapporto Diritti Umani Amnesty International, 28 paesi negano i diritti alle donne

violenza donne

Il rapporto di Amnesty International 2014-2015 che traccia il bilancio sulla risposta globale alle atrocità ancora oggi commesse in molte zone del mondo parla chiaro: la risposta è insufficiente e vergognosa se si pensa che l’anno che ci siamo appena lasciati alle spalle è stato purtroppo caratterizzato da violenze e barbarie su uomini, donne e bambini.