Jamais assez maigre, una modella contro l’anoressia nella moda

jamais-assez-maigre

Se ne parla spesso ma evidentemente non abbastanza e se alcune maison provano a proporre un ideale di bellezza fuori dagli assurdi canoni imposti dalla moda si finisce per accusarle di sfruttare la sensibilità pubblica al problema per fini pubblicitari.

Le modelle troppo magre sono una questione delicata che va affrontata a livello sociale prima che comunicativo, intervenendo alla radice sulla percezione che le donne hanno di se stesse e del proprio corpo e sull’ansia di voler aderire ad un modello che, tuttavia, viene diffuso dalla comunicazione: un cane si morde la coda.

Intanto la modella Victoire Maçon Dauxerre conduce la sua battaglia personale suscitando scalpore in Francia dove è uscito da poco il suo libro Jamais assez maigre, letteralmente mai abbastanza magra. Con la sua testimonianza attraverso il diario delle proprie disavventure nel fashion system ha riacceso i riflettori sul problema.

Notata da un talent scout ad appena 17 anni, la modella è diventata presto un volto molto richiesto. Le pressioni però sono state sin da subito fortissime, come racconta nel suo libro: il prezzo da pagare era la necessità di essere sempre più magra per rientrare nella taglia 32 che corrisponde ad una 36 italiana.

Dopo essere arrivata a pesare appena 47 chili per 178 centimetri di altezza, ed essere giunta a nutrirsi di appena due mele a pranzo prima di ogni sfilata, è caduta in depressione e ha persino tentato il suicidio.

Dopo questa devastante esperienza ha deciso di raccontare il suo calvario puntando il dito contro l’industria della moda per la quale non si è mai abbastanza magre. Il suo libro ha già venduto 50.000 copie e scosso le coscienze. Ma quanto durerà?

Erin Heatherton

La modella Erin Heatherton denuncia: o dimagrisci o non sfili

Erin Heatherton

Faccenda mai troppo discussa, quella delle percezione del corpo femminile imposta dalla comunicazione pubblicitaria. Questa volta nell’occhio del ciclone c’è niente meno che Victoria’s Secret e uno dei suoi angeli, Erin Heatherton, che ha sfilato per il brand di lingerie americano per 5 anni e ha partecipato alla creazione dei cataloghi e delle campagne pubblicitarie.

La questione? Secondo la modella, che ha denunciato solo di recente l’accaduto, il marchio di lingerie le avrebbe chieso di dimagrire per gli ultimi due show. Una pressione costante, spiega la modella, a cui sulle prime ha reagito con incredulità. La stessa incredulità sorge spontanea anche a noi che non riusciamo a spiegarci come possano essere più belle e in forma di così le modelle di Victoria’s Secret.

Erin Heatherton ammette di aver ceduto alle pressioni cercando di perdere peso, allenandosi 2 volte al giorno e mangiando con molta cura, senza però riuscire a dimagrire ulteriormente:

“Ero molto depressa perché lavoravo duramente e avevo l’impressione che il mio corpo opponesse resistenza. Sono arrivata al punto in cui una sera, tornando a casa dalla palestra, mi sono ritrovata a guardare la mia cena e a pensare che forse non avrei dovuto mangiarla.”

La modella, arrivata a questo punto, ha trovato la forza di dire basta e lasciare la scuderia di Victoria’s Secret. Di recente ha parlato di questo episodio durante un’intervista e ha postato su Instagram una sua foto in perfetta forma mentre indossa una t-shirt che lancia il messaggio “Empowered by Failure” per dire alle donne che adesso è più forte di prima e che non combatte più con il suo corpo per essere perfetta in un modo innaturale. Un messaggio da cogliere e di cui fare tesoro.

“Mi sono resa conto che non potevo continuare a sfoggiare il mio corpo di fronte a tutte quelle donne che mi guardavano e far loro credere che fosse facile essere così.”

A4 challenge

A4 challenge, la vita stretta come un foglio di carta

A4 challenge

L’ultima follia delle sfide online per aderire ad un canone di bellezza distorto e malsano si chiama A4 Challenge e sta dilagando sul web. Nota anche come paper challenge, i social ne sono pieni. Da una parte ragazze che si sottopongono alla prova del foglio di carta, dall’altra – per fortuna – chi se ne dissocia con un pizzico di sana ironia.

Ma di cosa si tratta? L’idea è quella di dimostrare di avere la vita stretta come un foglio di carta e per la precisione larga quanto il lato corto di un foglio A4 che si usa come termine di paragone e con il quale ci si fotografa, evidenziando come il punto vita rientri nelle dimensioni richieste. Ricordiamo che un foglio A4 nella sua parte più stretta misura 21 centimetri appena.

Secondo Shanghaiist la tendenza è esplosa su Weibo, un social network corrisponde alla variante cinese di Facebook. Da lì si è diffusa raggiungendo lo stesso Facebook, Twitter e Instagram e coinvolgendo le americane e le europee in una vera e propria febbre da vita stretta.

Di fatto le ragazze asiatiche sono più minute ma per una donna occidentale media rientrare nella assurda taglia A4 è non solo poco realistico ma anche potenzialmente pericoloso: si diffonde un messaggio rischioso invitando le ragazze ad aderire ad un modello di bellezza che non coincide con la realtà.

Su Weibo oltre 40.000 utenti hanno raccolto la sfida pubblicando la propria foto con il foglio di carta davanti alla pancia ma ormai la challenge ha travalicato i confini cinesi. In barba a tutti i discorsi sull’accettazione del proprio corpo e alle polemiche sull’immagine distorta della donna che passa attraverso la comunicazione, sono in tante a tentare la prova dell’A4.

Ma c’è anche qualcuno che dice no e si fa fotografare con un foglio in formato A3 e un gestaccio esplicito che manda a quel paese la ridicola sfida. C’è persino chi ha scomodato il proprio gatto per prendere in giro la paper challenge. E chi fa commenti non troppo velati sull’intelligenza (assai carente) dell’iniziativa. In gallery alcune delle reazioni del web all’ultima tendenza della Rete.

La vagina è ancora un tabù?

vagina

Tra artiste che tentano di spezzare i tabù sessuali e intere popolazioni femminili costrette al giogo maschile, c’è tutto un mondo in continuo mutamento anche se ancora lunga è la strada verso una percezione del corpo femminile davvero libera, non solo non sessualizzata e strumentalizzata dalla pubblicità ma anche scevra da tabù che perpetuano una posizione subalterna della donna.

Lo spunto per la riflessione ce lo fornisce un recente episodio accaduto nel corso di una puntata di Celebrity Big Brother, il Grande Fratello con i personaggi famosi che va in onda nel Regno Unito. Alcuni coinquilini uomini, frugando nel cesto della biancheria sporca, hanno trovato un paio di slip dell’attrice Stephanie Davis sporchi di secrezioni vaginali. I bellimbusti hanno esibito facce disgustate, mostrando a tutti gli slip e umiliando la loro proprietaria.

Il gesto, che il canale televisivo ha deciso di mandare in onda in nome dell’intrattenimento, ha suscitato reazioni contrastanti. Molte sono state le proteste verso l’atto di stupido bullismo e la scelta dell’emittente di trasmettere la scena, ancora di più le dichiarazioni di disgusto in accordo con gli uomini schifati dalle secrezioni vaginali trovate sulle mutandine.

Tra i termini utilizzati ci sono “disgustoso”, “da vomito” e “orrendo” per descrivere un fenomeno del tutto naturale. Una reazione diffusa e censoria nei confronti di qualcosa che va tenuto nascosto e, se svelato, stigmatizzato. La stessa reazione che suscitano, a diverso grado, anche i peli femminili e le mestruazioni.

Perché la pubblicita di un rasoio mostra gambe già perfettamente depilate e quella di un assorbente si serve di acqua blu per rappresentare il sangue mestruale? Perché la società non accetta il corpo delle donne così com’è. Mentre in un uomo peli e fluidi fisiologici sono considerati segno di virilità, in una donna sono vergogne da nascondere.

La vagina dunque è ancora oggi un tabù e dei più resistenti da spezzare. Tutto ciò non fa che perpetuare un atteggiamento misogino, arcaico e ancora troppo radicato nei confronti del corpo femminile considerato sporco, corrotto, contaminato.

La vagina espelle fluidi fisiologici naturalmente, con diversa consistenza e colore a seconda del periodo del ciclo mestruale. Nessuna donna può e deve essere umiliata da un trattamento così ridicolmente discriminatorio. E con ciò ci ricolleghiamo anche al tabù nei confronti delle mestruazioni, che invano da tempo si combatte, e alla più recente questione della tassazione degli assorbenti.

Photo Credits | Vladimir Gjorgiev / Shutterstock.com

Bellezza o razzismo: lo spot della crema che sbianca la pelle

crema-che-sbianca-la-pelle

Il mese scorso l’azienda di cosmetici thailandese Seoul Secret ha messo in circolazione una pubblicità che lancia una crema che sbianca la pelle chiamata Snowz. Quello spot ha suscitato un così fitto vespaio di polemiche che è stato prontamente ritirato con tante scuse dell’azienda la quale, tuttavia, ha lasciato il prodotto sul mercato.

Fin qui la notizia, dunque la riflessione. Assistiamo ogni giorno a decine di spot che veicolano messaggi fuorvianti e modelli di bellezza distorti che alterano la nostra percezione di noi stesse e del mondo che ci circonda. Talvolta queste pubblicità suscitano indignazione, in più rari casi vengono ritirate. Ecco perché fa notizia quando una pubblicità come quella di cui parliamo finisce per essere ritirata e proprio in un paese che della pelle bianca ha fatto un vero e proprio dettame di bellezza.

In Thailandia, e più in generale in tutto il mondo asiatico, la pelle chiara è vissuta come un valore imprescindibile. Il mercato cosmetico cavalca da molti decenni l’onda della richiesta delle donne di prodotti capaci di agire sulla pigmentazione della pelle sbiancandola fino all’inverosimile.

A ciò si aggiunge la meticolosa attenzione alla protezione dai raggi solari non solo con filtri protettivi ma anche per mezzo di ombrelli e guanti, quando non si arriva addirittura ad astenersi dall’uscire all’aperto nelle ore di sole. Un atteggiamento che spesso ci appare bizzarro ma non lo è più di della corsa alla tintarella che invece caratterizza da molti decenni noi occidentali.

La questione è legata a ragioni storiche perché nel mondo occidentale moderno la tintarella rappresenta la possibilità economica di permettersi vacanze in luoghi esotici nell’arco dell’anno mentre nel mondo orientale per secoli avere una pelle abbronzata significava appartenere alle classi sociali inferiori, costrette a lavorare la terra. Fin qui si prende semplicemente atto di un atteggiamento sociale, molto ben radicato.

Lo spot incriminato però ha portato tutto ciò alle estreme conseguenze. Nel video l’attrice Cris Horwang, una celebrità thailandese dalla pelle candida, dichiara:

“Nel mio mondo la competizione è feroce. Se non mi prendo cura di me, tutto quello che ho costruito, la bianchezza sulla quale ho investito, potrebbe scomparire.”

Un’affermazione agghiacciante per molti di noi ma del tutto naturale per una donna asiatica. Almeno finché la pelle dell’attrice non inizia a scurirsi fino a diventare letteralmente nera mentre la donna si dispera, sconvolta per l’accaduto, e si paragona ad un’attrice concorrente dalla pelle chiara che le indica il prodotto miracoloso per ritornare bianca.

Questa scelta pubblicitaria è stata vista come un insulto nei confronti delle persone dalla pelle scura che, al di là dei canoni di bellezza vigenti nel mondo asiatico, sono storicamente discriminati. Il fatto stesso che lo spot abbia suscitato indignazione è legato a stretto filo alla percezione del pericolo nel perpetuare atteggiamenti simili nei confronti della differenza del colore della pelle tra le persone che al di là delle circostanze storiche è stato determinato unicamente da ragioni di adattamento geografico nel corso dell’evoluzione umana.

Nonostante le scuse dell’azienda, tuttavia, il prodotto è rimasto sul mercato e a nessuno è venuto in mente di ritirarlo dal momento che il giro d’affari legato alle creme sbiancanti in Asia supera i 13 miliardi di dollari l’anno. Quello che più colpisce però è scoprire che non solo in Asia ma anche in Africa l’ansia di ottenere una pelle più chiara appartiene a percentuali altissime di donne, circa il 35% in Sudafrica, addirittira il 75% in Niger.

Sono milioni le donne che fanno regolarmente ricorso a questo genere di prodotti benché spesso si registrino effetti collaterali anche gravi. Il problema allora non risiede in una pubblicità che non fa altro che interpretare i tempi, pur distorcendone le premesse ai propri scopi. Il problema è molto più radicale. La reazione allo spot, però, ci fa sperare in un lento ma costante cambiamento.

nuove barbie

Le nuove Barbie che rispecchiano i fisici delle donne vere

nuove barbie

Da anni si discute delle proporzioni assurde di Barbie, della necessità di proporre alle bambine modelli di bellezza meno severi e irrealistici, eppure sta suscitando ilarità e condanne la nuova proposta di Mattel che ha lanciato una collezione di nuove Barbie con differenze fisiche che rispecchiano la varietà reale delle donne.

Una decisione storica considerando che la celebre bambolina bionda era rimasta pressocché invarianta sin dagli anni Cinquanta, quando fece la sua comparsa nel mondo dei giocattoli conquistano generazione dopo generazione. Secondo il Time, nella sua storia la bambola ha raggiunto 150 paesi del mondo con fatturati annui da capogiro diventando il simbolo stesso della ragazza americana bionda che ama la moda.

Oggi insieme alla classica Barbie dal vitino di vespa arriva quella bassa, quella curvy, quella alta. Non si perde tempo per gridare allo scandalo, contraddicendo anni di lotte per ottenere il rispetto del corpo femminile, per crearci noi stesse una percezione del corpo della donna che non sia dipendente da modelli fuori portata ma più legata alla realtà concreta che viviamo tutti i giorni.

Mattel ha colto i venti di cambiamento e ha lanciato la campagna #TheDollEvolves che racconta in un video come le bambine moderne percepiscono le differenze visibili tra le nuove bambole appena proposte sul mercato così come intorno a loro, tra se stesse e tra le donne della loro vita quotidiana.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=vPETP7-UfuI]

Le nuove Barbie saranno disponibili in tre varianti di fisico e con diversi colori di pelle e capelli per rappresentare la grande varietà di forme fisiche e taglie che le donne reali hanno nella vita. Secondo chi plaude a questa scelta, si tratta di una presa di coscienza di una questione molto importante e assai dibattuta. Secondo i detrattori invece è solo una mossa commerciale per incrementare le vendite in calo.

Evelyn Mazzocco da casa Mattel ha voluto sottolineare che si tratta di un nuovo progetto che vuole dare valore alle donne, una missione che Barbie ha sempre portato avanti, prima intraprendendo carriere diverse e lasciando i panni della casalinga, oggi rivoluzionando la sua stessa iconica forma.

La nuova linea sarà lanciata ufficialmente questa primavera e includerà, oltre alla versione originale della bambola, la variante molto alta, quella molto bassa e quella con curve generose. Sono differenziazioni che già esistono nella moda, molte aziende propongono tra le proprie linee capi petite, tall e curvy. Oltre a ciò si potrà scegliere ta 7 colori di pelle, 22 colori di occhi e 24 acconciature di capelli.

pixee fox punto vita

Pixee Fox, la donna con il punto vita da 40 cm

pixee fox punto vita

L’uso del corsetto era tanto consueto quanto doloroso nei secoli andati ma c’è ancora chi se ne serve per ottenere l’agognato vitino da vespa che nessun allenamento in palestra può promettere. Poi però rischia di morire. Succede ad una modella americana di origine svedese che ha un punto vita di appena 40,5 centimetri.

Per riuscire ad ottenere questo incredibile e anche un po’ impressionante risultato ha hatto ricorso ai corsetti ma si è anche fatta rimuovere alcune costole in modo da poter ridurre ulteriormente il diametro del suo girovita. Cosa non si è disposte a fare in nome di un pur discutibile ideale di bellezza?

In consueguenza di questa scelta la donna sarà costretta ad indossare il corsetto per tutto il resto della sua vita perché se lo togliesse rischierebbe addirittura di morire. L’intervento di rimozione delle costole è avvenuto lo scorso Ottobre e la modella ha mostrato orgogliosamente su Instagram l’immagine della cicatrice che ne è derivata.

pixee-fox

Prima dell’operazione il suo punto vita misurava 61 centimetri, praticamente un girovita già perfetto se di perfezione possiamo ancora azzardarci a parlare discutendo di corpo femminile, specialmente alla luce delle ultime campagne di sensibilizzazione riguardo a come la società lo percepisce o tende ad imporlo.

Perché ridurlo, quindi? La modella venticinquenne che ha deciso di condannarsi ad una vita di corsetti perenni ha spiegato ai media che l’hanno intervistata di aspirare ad avere un fisico simile a quello di Jessica Rabbit o della principessa Aurora di La Bella Addormentata perché

“questi personaggi dei cartoni animati rappresentano l’idealizzazione del corpo femminile.”

Verso questa affermazione nutriamo francamente non poco scetticismo e ci domandiamo se non siamo proprio noi donne le prime a sabotare ogni sforzo di estirpare dalla società la visione di un corpo femminile legato a stereotipi che non hanno un reale corrispettivo nella vita quotidiana di tutte noi.

Photo Credits | Instagram

test della verginità Indonesia

Il test della verginità in Indonesia

test della verginità Indonesia

La violenza sulle donne non è solo quella fisica ma anche quella psicologica, in alcuni casi non solo umiliante ma anche talmente radicata e istituzionalizzata da essere considerata la normalità. Accade in Indonesia dove alle donne è permesso arruolarsi ma solo dopo essersi sottoposte ad una prova molto particolare, il test della vergnitià.

Oltre alle consuete prove psicologiche e fisiche a cui devono sottoporsi tutte le reclute, infatti, alle donne è richiesta un’integrità fisica in più attraverso un test eseguito da un medico che verifica, con l’inserimento di due dita, se l’imene sia stato effettivamente lacerato o meno. Le donne che hanno già avuto un rapporto sessuale vengno rifiutate, considerate indecenti e inaccettabili, l’integrità dell’imene come simbolo di un atteggiamento mentale e morale sano.

Lo ha denunciato l’ONG Human rights watch proprio quest’anno allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica e creare pressioni sul governo locale perché elimini dalle sue procedure questa pratica degradante che viola la dignità umana delle donne e non ha alcuna base scientifica.

Dal canto loro le autorità indonesiane difendono a spada tratta questa consuetudine considerandola fondante nella scelta del personale di sicurezza visto che nei soldati, affermano, ciò che più conta è la mentalità e la moralità e una donna che ha perduto la propria verginità dimostra – continuano – un atteggiamento che non può considerarsi sano.

Affermazioni che fanno accapponare la pelle a noi donne occidentali ormai abituate a considerare la sessualità un ambito esclusivamente personale, pur a costo di lunghe lotte e con vaste sacche di arretratezza che permangono, specialmente nel mondo del lavoro dove una donna guadagna ancora meno di un uomo a parità di ruolo.

Il test della verginità ci appare come una pratica barbara, priva di senso, che sembra conservare il solo scopo di dominare le donne mantenendole in una condizione di sottomissione. Tutto in nome di un decoro di facciata dal momento che per preservarlo si perpetra una simile umiliazione.

La polizia indonesiana pratica il test della verginità almeno dal 1965 e non intende rinunciarvi nonostante sia stato evidenziato anche dall’Organizzazione mondiale della salute che la rottura dell’imene non è necessariamente correlata al rapporto sessuale. Eppure nello stesso paese e in due occasioni molto recenti, nel 2010 e nel 2013, è stato proposto di introdurre il test anche nelle scuole, espellendo le studentesse che non si fossero rivelate vergini.

Photo Credits | antoni halim / Shutterstock.com