Maria Sole Sanasi d’Arpe ci fa scoprire il libro di Luigi Comencini “Davvero un bel mestiere!” grazie ad un articolo pubblicato su cinquantamila.it, dal titolo “Il regista-fanciullo che faceva parlare le facce dei bambini”.
Il libro è l’autobiografia del regista, pubblicata postuma, in cui Comencini racconta l’infanzia, gli esordi della sua carriera e le tappe significative della sua attività di regista.
“Si parte dall’infanzia «delicata e gentile» – scrive Maria Sole – per volere di una madre molto presente e a tratti oppressiva nel suo affetto. Il tempo è trascorso nella campagna francese. Lui è un salodiano solitario al quale i compagni strappavano le ghette e «che il giovedì non andava a scuola, andava al cinema», sua personale forma di trasgressione, che attenua finalmente le ansie monopolizzandone l’attenzione”.
Il Comencini cittadino europeo, poi universitario a Milano che trascorre da solo a passeggiare le domeniche, ora post neorealista italiano a Roma che s’affaccia dall’Hotel de la Ville, incontra Carlo Ponti.
Dopo il film Proibito rubare, si reca a Napoli per girare il primo lungometraggio Bambini in città, “tentando di «rompere quel muro di verità tradita, quel falso realismo che invadeva il cinema italiano, dalle risaie ai pescatori siciliani»”.
“È apprezzato all’estero – afferma ancora Sanasi d’Arpe – grazie all’unica cosa vera: le facce dei ragazzini che parlavano da sole, ma non vuol fare un cinema di denuncia, piuttosto concretizzare sullo schermo «un’irrealtà che sembra vera», come definisce Mario Soldati il suo film Persiane chiuse del 1950. È sull’onda d’allegria che travolge il successo di Pane, amore e fantasia (amore fu aggiunto in ultimo, per scaramanzia), che comincia a prendere forma l’idea de La finestra sul Luna Park: la storia di un bambino con un padre assente che se ne sceglie un altro, cui segue la telefonata di Andreotti e le modifiche impostegli da Monsignor Angelicchio”.
“Realizza Tutti a casa, «un film che funziona» – aggiunge – e subito dopo La ragazza di Bube con Claudia Cardinale, voluto da Comencini in maniera insolitamente ostinata rispetto all’indole dubbiosa, grazie all’analogia tra l’amore di Bube per Mara e quello con sua moglie Giulia”.
L’attenzione è sempre indirizzata al pubblico al quale egli si rivolge direttamente attraverso la cinepresa, con il fine di suscitare emozioni autentiche nello spettatore, quelle stesse emozioni da cui è ogni volta capace di attingere nuove idee.
“Questa capacità – osserva Sanasi -, il dono innato della comunicazione, rende il suo modus operandi accessibile a ogni livello, seppur restando incompreso a lungo dalla maggioranza dei critici italiani, proprio come il suo bambino nel film omonimo. Film durante le cui riprese, egli avverte «una certa mescolanza tra la felicità domestica e quella che fioriva sul set» fiorentino. Il successo del suo Casanova, arriva dalla Francia, che «lo considera un artista», mentre a sua detta in Italia è «un artigiano con qualche sprazzo felice» ma soprattutto «il regista dei bambini»: per Comencini, il più grande spettacolo del mondo, che fanno della strada la loro arena gratuitamente e i protagonisti della serie/inchiesta del 1970 I bambini e noi, in seguito alla quale, uno degli intervistati, otterrà la parte di Lucignolo ne Le avventure di Pinocchio (1972)”.
I film che vedono Luigi Comencini dietro la macchina da presa non finiscono mai, da Delitto d’amore con Stefania Sandrelli, si passa a Lo scopone scientifico con Sordi e Silvana Mangano, La donna della domenica con Mastroianni e poi Cuore, l’adattamento del romanzo di De Amicis in sei puntate per la Rai.
“Non riesce a godere appieno – dice Maria Sole – del suo successo nei due anni successivi, «soffre troppo senza cinema»: ritrova energia e passione con La storia del 1984, lugubre scorcio su San Lorenzo a Roma negli anni Quaranta, tratto dal romanzo di Elsa Morante. Comencini ha settant’anni e con Gian Maria Volonté è la volta de Il ragazzo di Calabria, un successo per entrambi”.
«Era proprio un bel mestiere!» è l’esclamazione che chiude l’autobiografia, ma a chiudere il libro è un’intervista inaspettata, “un’intima intervista padre-figlia – conclude Sanasi – condotta appunto da Cristina Comencini, anche lei regista di fama internazionale, ripercorre con autenticità tutti gli aspetti inespressi della sua vita, dei suoi film, dei suoi progetti. La confidenziale tenerezza che può permettersi toni tenui e al contempo aspri nelle domande rivoltegli, è soltanto quella che c’è tra padre e figlia, che fanno lo stesso mestiere, proprio un bel mestiere”.