Dopo quel che è successo sulle spiagge francesi con il divieto – e la conseguente multa – per le donne musulmane di indossare il burquini, si è scatenata una bagarre mediatica contro i divieti islamici che impongono alla donna di non mostrarsi in pubblico. E se invece fosse una libera scelta come per il facekini cinese?
hijab
#meninhijab, gli uomini mettono il velo sui social
È l’hashtag del momento per ciò che riguarda il dibattito sulla condizione femminile nei paesi che impongono l’hijab alle donne: si chiama #meninhijab e racconta l’iniziativa di alcuni uomini che hanno deciso di mettere il velo e pubblicare un’immagine sui social accanto a donne che non lo indossano.
Instagram e Twitter sono i social network maggiormente coinvolti nella campagna ideata dalla giornalista iraniana Masih Alinejad che ha lanciato la sfida agli uomini: provare a indossare l’hijab per capire cosa provano le donne ad essere private della loro libertà.
Un gesto simbolico, che certo non farà comprendere appieno a molti uomini il valore della libertà e la condizione subalterna della donna nella società araba. Ma è un importante seppur piccolo passo avanti che riporta all’attenzione del mondo una questione molto cara alle attiviste.
L’iniziativa di Masih Alinejad nasce nel 2009 e non in Iran ma a Londra e New York, dove la giornalista e attivista vive in esilio. La campagna intitolata My Stealthy Freedom, cioè la mia libertà clandestina, approdò su Facebook nel 2014 quando la giornalista chiese alle donne iraniane di pubblicare una foto senza velo. L’hijab in Iran è imposto per leggere alle donne sin dal 1979, con la rivoluzione di Khomeini. Non indossarlo è un reato penale e suscita anche il biasimo sociale.
La campagna aveva riscosso successo, anche alcuni uomini avevano partecipato appoggiando l’iniziativa. È dunque nato e via via cresciuto l’hashtag #meninhijab che coinvolge tutti gli uomini che vogliano sostenere la battaglia ad indossare il velo in foto insieme alle donne della propria vita che non lo portano più: madri, moglie, sorelle, amiche.
Così gli uomini diventano protagonisti e portavoce di un’istanza femminile che vuole dire no alle imposizioni e alle limitazioni alla propria libertà di cui gli uomini non soffrono. Lo scopo è quello di scardinare l’impostazione conservatrice della società iraniana, sfidando le leggi e trovando il supporto degli uomini.
Foto | Twitter e Facebook
Gli hijab di Dolce e Gabbana
La notizia sta facendo il giro del mondo e suscitando grandi entusiasmi come dure polemiche: parliamo dalla nuova collezione di abaya e hijab di Dolce e Gabbana lanciata di recente su Style.com/Arabia, la sezione del celebre sito di Vogue che si rivolge alle donne in Medio Oriente.
La nuova linea riprende due degli indumenti tradizionali delle donne musulmane e li rivisita in chiave extralusso, scegliendo tessuti preziosi e leggeri, ricami e stampe delicati e colori neutri. Poi li abbina ad accessori appariscenti e dal lusso più sfarzoso, dalle borse agli occhiali da sole. Il risultato è indubbiamente fastoso ma anche molto stridente.
Hijab e abaya, cioè il velo che copre i capelli e la lunga veste scura fino ai piedi, sono infatti indumenti legati ad una religione che rappresentano la modestia femminile di fronte alla divinità. Trasformarli in capi di moda è stato reputato offensivo da alcune donne che sull’account Instagram di Stefano Gabbana hanno commentato infastidite. Lo stilista aveva infatti anticipato con qualche immagine le nuove creazioni che sono state poi presentate ufficialmente sul sito con il lookbook dedicato che potete vedere in gallery.
Ai designer sono stati riservati però anche molti applausi da parte di chi li ritiene innovatori capaci di assottigliare il grande divario culturale che esiste tra il mondo occidentale e quello medio-orientale, il cui mercato del lusso è in continua crescita e a cui spesso le case di moda si adeguano realizzando collezioni speciali.
Che Dolce e Gabbana abbiano interpretato in tempi è chiaro, da tempo i segnali sono chiari. Citiamo per esempio la pubblicità di H&M con una modella che indossa l’hijab per non dire delle svariate collezioni moda realizzate esclusivamente da molti marchi per il mercato medio-orientale in osservanza delle regole più caste richieste da quelle società.
Tuttavia ci resta in bocca quel retrogusto un po’ acidulo che deriva dall’inevitabile pensiero: hijab, abaya, burqa e tutte le loro variazioni sono strumenti di prevaricazione sulle donne e non sarà qualche ricamo e la piacevolezza della seta a renderli meno oppressivi. D’altro canto il mercato chiede e il mercato offre a dimostrazione del fatto che come sempre il dio denaro vince su tutto.
Da Zara a Parigi impedito l’ingresso a una donna con hijab
Il dibattito sul velo che le donne di molte culture portano per imposizione o scelta è sempre attuale e lo diventa più che mai in questi giorni caldi dopo gli attentati di Parigi, che hanno fatto salire ulteriormente il livello di allarme in ogni angolo del mondo.
La paura implica spesso un pregiudizio ed è quello che accade all’ingresso di uno dei negozi della catena spagnola Zara proprio nella città francese dove alcuni giorni fa ad una donna con hijab è stato impedito l’accesso per ragioni di sicurezza. Reazione esagerata? Normali controlli di routine? Forse, ma il video che è stato girato con uno smartphone mentre la guardia spiega che la donna non può entrare una certa impressione la fa.
Davanti al negozio due uomini addetti ai controlli esaminano le borse delle clienti prima di lasciarle entrare in negozio ma uno dei due ferma una donna velata rifiutandole il permesso di accedere al punto vendita. Nel video dice chiaramente che è vietato l’accesso a persone con il capo coperto, inclusi cappelli e felpe con cappuccio. Solo che il velo non è un copricapo che abbia qualcosa a che fare con l’abbigliamento, è qualcosa di più, e chiedere ad una donna islamica di rimuoverlo coinvolge ben più dell’aspetto fisico avendo una stretta relazione con il suo credo religioso.
[youtube https://www.youtube.com/watch?v=6apVLiKBffI]
Il video si è diffuso rapidamente sulla Rete e Zara ha subito risposto contattando personalmente la cliente per scusarsi dello spiacevole episodio che ha definito “un incidente.” Allo stesso tempo ha diffuso una nota con cui ha assicurato che le clienti che indossano il velo:
“sono le benvenute e ogni informazione in contraddizione con questo non è assolutamente in linea con la politica di Zara.”
Un gesto significativo e per alcuni anche doveroso, soprattutto considerando che la catena spagnola è già stata accusata di discriminazione in passato. Ricordiamo tra gli episodi precedenti la proposta di abiti per bambini con righe che ricordavano le divise dei campi di concentramento e un’accusa risalente allo scorso Giugno da parte di un ex dipendente che ha intentato un processo milionario, ritenendo di aver subito un trattamento discriminatorio come lavoratore.
Photo | Thinkstock
Una modella con l’hijab posa per H&M
È sulla bocca di tutti la notizia della prima modella con l’hijab che compare nell’ultimo spot di H&M dedicato al ririclaggio dei vestiti. Si intitola Close the Loop e tra gli altri protagonisti della campagna pubblicitaria un po’ provocatoria compare la modella Mariah Idrissi, londinese ventitreenne con origini pakistane e marocchine.
Si tratta della prima modella ad indossare il velo della tradizione religiosa islamica in un video girato da H&M per invitare le persone a sottolineare la diversità, nella vita quotidiana come nella moda.
Nello spot compaiono anche altri personaggi di ogni angolo del mondo, inclusa qualche minoranza, e tutti esibiscono fieramente la propria diversità, le proprie preferenze personali, la propria appartenenza ad uno stile o la scelta di rinnegarli tutti.
Eppure a colpire l’immaginario collettivo è solo Mariah, perché non si era ancora vista in Occidente una donna islamica posare per una campagna pubblicitaria e indossare l’hijab sulla scena con tanta nonchalance e uno stile tanto fresco e moderno. D’altronde la modella interpreta se stessa e in quanto tale indossa il velo che ha deciso di portare dall’età di 17 anni come simbolo della sua fede religiosa. Lo indossa sempre, anche nelle sue foto personali pubblicate su Instagram.
Dietro l’entusiasmo per questa accoglienza gioiosa della diversità nel grande alveo del mainstream, tuttavia, ci sono anche motivazioni diverse, come quelle economiche. Con questa mossa il colosso svedese mira non solo a lanciare un messaggio positivo relativamente alla libertà di ciascuno di esprimersi come meglio crede. Lo scopo non troppo recondito, nascosto dietro i buoni sentimenti, è assicurarsi una nuova e ricca fetta di mercato. Le donne musulmane, secondo stime approssimative ma significative, entro il 2019 spenderanno la ragguardevole cifra di 430 miliardi di euro nell’abbigliamento e negli accessori.
Ma non si commetta l’errore di pensare che Mariah sia stata strumentalizzata, ha accettato con gioia l’idea di posare per questa campagna pubblicitaria spiegando che indossare l’hijab non significa né nascondersi né vivere una vita di oppressione ma solo fare una scelta personale. Commenta le critiche ricevute spiegando:
“Le persone hanno detto ‘Ma se indossare l’hijab ha a che fare con la modestia, come mai posa davanti a un obiettivo?’ Ma perché non dovrei, se sono decentemente coperta? Non hai bisogno di essere nuda per apparire bella. Non limiti la tua personalità indossando un foulard.”
E ammette non solo di acquistare nelle catene del low cost occidentale e di vivere benissimo nella sua città, una Londra multiculturale piena di stimoli e di mode, ma anche di seguire con piacere le cosiddette Hijabis, un gruppo di blogger internazionali che indossano il velo e non rinunciano alla moda e allo stile.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=s4xnyr2mCuI]