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Titolare
Il titolare del trattamento è ISayBlog
Cara Alba, trovo questo articolo tremendamente superficiale.
Ti incollo una parte del manifesto dell’Art Directors Club:
“Una certa dose di stereotipi è necessaria in pubblicità come in ogni
forma di comunicazione di massa. Ma l’abuso di stereotipi e cliché
relativi a etnie, religioni, classi sociali, ruoli e generi favorisce
il consolidamento di pregiudizi e ingessa lo sviluppo sociale,
ancorandolo a schemi culturalmente arretrati e quindi dannosi.
Dunque occorre usare gli stereotipi con attenzione
e consapevolezza, sempre chiedendosi se una soluzione alternativa
non sia possibile e migliore. ”
E dovrebbe bastare questo a farti capire che una polemica del genere ha più che dignità di esistere, è, anzi, importantissimo che anche in Italia si inizi a richiedere una maggiore attenzione per le questioni di genere in ambito pubblicitario (In Danimarca non sarebbe mai potuta andare in onda una pubblicità del genere).
Non credo di dover essere io a ricordarti quanto influisce la pubblicità nella creazione dell’immaginario sociale. Infatti credo che tu abbia anche frainteso quello che c’è scritto nella petizione: “indignati soltanto dal sessismo, ma dalle aspettative che vengono inculcate a bimb* di tenera età” non è riferito agli infanti che indosseranno i pannolini, piuttosto a quella schiera di giovani che si vedranno comparire questa pubblicità tra un cartone animato e l’altro.
Se vuoi crescere i tuoi figli con l’idea che le bambine debbano farsi belle e i bambini fare goal (cosa che è discriminante anche per l’uomo, non si tratta quindi solo di una polemica femminista) sono problemi tuoi. Io, invece, credo che il futuro della società civile debba andare oltre questi stereotipi negativi.
Sinceramente ho trovato la tua giustificazione “Ma questo è marketing, signore mie, niente di più!” incredibilmente irritante. Anche le pubblicità antisemite erano solo marketing. Anche quella famosa (praticamente in tutti i libri di storia) pubblicità del sapone che sbianca i neri era marketing. Marketing del colonialismo.
Non si possono legittimare certi messaggi negativi dicendo: è marketing.
Anche perchè, se permetti, dal punto di vista del marketing è davvero insulsa questa pubblicità. C’erano mille altri modi per attirare l’attenzione di un pubblico ancora più vasto.
Un esempio stupido? Se avessero trattato la questione dei generi con più accortezza sarebbe potuto scoppiare il caso: “huggies sfonda le barriere di genere con una pubblicità gender free”.
Sarebbe bastato fare una cosa del genere: “sembrano uguali, con la loro voglia di avventura, l’entusiasmo della scoperta, la loro tenerezza blablabla. Così piccoli, ma anche così diversi: la rivoluzione huggies e blablabla”
p.s.: chiedo scusa per la formattazione del commeto, ma il form di questo sito è davvero inefficace.
Cara Alba, trovo questo articolo tremendamente superficiale.
Ti incollo una parte del manifesto dell’Art Directors Club:
“Una certa dose di stereotipi è necessaria in pubblicità come in ogni
forma di comunicazione di massa. Ma l’abuso di stereotipi e cliché
relativi a etnie, religioni, classi sociali, ruoli e generi favorisce
il consolidamento di pregiudizi e ingessa lo sviluppo sociale,
ancorandolo a schemi culturalmente arretrati e quindi dannosi.
Dunque occorre usare gli stereotipi con attenzione
e consapevolezza, sempre chiedendosi se una soluzione alternativa
non sia possibile e migliore. ”
E dovrebbe bastare questo a farti capire che una polemica del genere ha più che dignità di esistere, è, anzi, importantissimo che anche in Italia si inizi a richiedere una maggiore attenzione per le questioni di genere in ambito pubblicitario (In Danimarca non sarebbe mai potuta andare in onda una pubblicità del genere).
Non credo di dover essere io a ricordarti quanto influisce la pubblicità nella creazione dell’immaginario sociale. Infatti credo che tu abbia anche frainteso quello che c’è scritto nella petizione: “indignati soltanto dal sessismo, ma dalle aspettative che vengono inculcate a bimb* di tenera età” non è riferito agli infanti che indosseranno i pannolini, piuttosto a quella schiera di giovani che si vedranno comparire questa pubblicità tra un cartone animato e l’altro.
Se vuoi crescere i tuoi figli con l’idea che le bambine debbano farsi belle e i bambini fare goal (cosa che è discriminante anche per l’uomo, non si tratta quindi solo di una polemica femminista) sono problemi tuoi. Io, invece, credo che il futuro della società civile debba andare oltre questi stereotipi negativi.
Sinceramente ho trovato la tua giustificazione “Ma questo è marketing, signore mie, niente di più!” incredibilmente irritante. Anche le pubblicità antisemite erano solo marketing. Anche quella famosa (praticamente in tutti i libri di storia) pubblicità del sapone che sbianca i neri era marketing. Marketing del colonialismo.
Non si possono legittimare certi messaggi negativi dicendo: è marketing.
Anche perchè, se permetti, dal punto di vista del marketing è davvero insulsa questa pubblicità. C’erano mille altri modi per attirare l’attenzione di un pubblico ancora più vasto.
Un esempio stupido? Se avessero trattato la questione dei generi con più accortezza sarebbe potuto scoppiare il caso: “huggies sfonda le barriere di genere con una pubblicità gender free”.
Sarebbe bastato fare una cosa del genere: “sembrano uguali, con la loro voglia di avventura, l’entusiasmo della scoperta, la loro tenerezza blablabla. Così piccoli, ma anche così diversi: la rivoluzione huggies e blablabla”
p.s.: chiedo scusa per la formattazione del commeto, ma il form di questo sito è davvero inefficace.
la formattazione del commento alla fine è venuta bene! =P
Grazie del tuo commento Tommaso, avevo letto anche su Facebook il tuo punto di vista. Sono mamma di due bambini e non lascio che la tv svolga una funzione educativa. I bambini non sono uguali né anatomicamente né a livello d’interessi. Ci sono le bambine che fanno goal e i bambini che pensano a farsi belli, peccato che chi s’indigna su Change.org, poi sia il primo a pensare che comunque è meglio iscrivere la bambina a danza e mandare il bambino a fare rugby perché ci sono cose femminili e cose che lo sono meno, cose che sono mascoline e cose che lo sono meno.
Questo è il marketing di cui quasi tutti sono schiavi. Non è una giustificazione, è un dato di fatto: i pubblicitari sono poco interessati a fare pubblicità progresso, hanno soltanto la necessità di vendere un prodotto. La superficialità, se permetti, è dell’azienda che non è sensibile alla tematica gender e la superficialità è anche di chi si lava la coscienza con la firma della petizione ma poi compra prodotti targettizzati. Non so se ti è mai capitato di entrare in un negozio di giocattoli e alla richiesta: “posso aiutarla” dire che stai cercando un gioco… e poi essere interrotto dal solito “è un maschietto o una femminuccia”. Nessuno ti farà mai una domanda gender free: “che interessi ha il festeggiato o la festeggiata?” E non è perché sono stati catechizzati nella discriminazione da anni e anni di adv Huggies. Capita perché la società civile che tu chiami in causa pensa che ci siano prodotti per i bambini e prodotti per le bambine. E non bisogna aspettare che arrivi il futuro. Ci siamo già dentro fino al collo.
Aggiungo che su Facebook chiedi di essere costruttivi: io non mi arrogo il diritto di suggerire ad un copy di Huggies come avrebbero dovuto pubblicizzare il prodotto, però costruttivamente posso dire alle mamme e ai genitori come me di liberarsi dalle pubblicità, di essere meno schiavi anche delle mode mediatiche e di riprendere in mano un ruolo educativo che per mancanza di tempo spesso è delegato alla TV.
Grazie del tuo commento Tommaso, avevo letto anche su Facebook il tuo punto di vista. Sono mamma di due bambini e non lascio che la tv svolga una funzione educativa. I bambini non sono uguali né anatomicamente né a livello d’interessi. Ci sono le bambine che fanno goal e i bambini che pensano a farsi belli, peccato che chi s’indigna su Change.org, poi sia il primo a pensare che comunque è meglio iscrivere la bambina a danza e mandare il bambino a fare rugby perché ci sono cose femminili e cose che lo sono meno, cose che sono mascoline e cose che lo sono meno.
Questo è il marketing di cui quasi tutti sono schiavi. Non è una giustificazione, è un dato di fatto: i pubblicitari sono poco interessati a fare pubblicità progresso, hanno soltanto la necessità di vendere un prodotto. La superficialità, se permetti, è dell’azienda che non è sensibile alla tematica gender e la superficialità è anche di chi si lava la coscienza con la firma della petizione ma poi compra prodotti targettizzati. Non so se ti è mai capitato di entrare in un negozio di giocattoli e alla richiesta: “posso aiutarla” dire che stai cercando un gioco… e poi essere interrotto dal solito “è un maschietto o una femminuccia”. Nessuno ti farà mai una domanda gender free: “che interessi ha il festeggiato o la festeggiata?” E non è perché sono stati catechizzati nella discriminazione da anni e anni di adv Huggies. Capita perché la società civile che tu chiami in causa pensa che ci siano prodotti per i bambini e prodotti per le bambine. E non bisogna aspettare che arrivi il futuro. Ci siamo già dentro fino al collo.
Aggiungo che su Facebook chiedi di essere costruttivi: io non mi arrogo il diritto di suggerire ad un copy di Huggies come avrebbero dovuto pubblicizzare il prodotto, però costruttivamente posso dire alle mamme e ai genitori come me di liberarsi dalle pubblicità, di essere meno schiavi anche delle mode mediatiche e di riprendere in mano un ruolo educativo che per mancanza di tempo spesso è delegato alla TV.
Grazie della celere risposta.
Sicuramente mettere una firma a una petizione non è un modo per lavarsi la coscienza, ma ioo non conosco
gli oltre 5000 che hanno firmato quella petizione e non credo sia possibile fare una stima della percentuale di
persone che tra questi si comportano come dici tu. Sicuramente anche quella è superficialità.
Purtroppo viviamo in un tipo di società in cui si deve far leva su certi stereotipi per conquistare il più largo pubblico,
siamo d’accordo. Ma è questa una giustificazione per passare sopra a certe cose?
Io vivo con un art director della ferrero, ho parlato con lui di questo caso, mi ha detto sostanzialmente le stesse
cose che dici tu: la pubblicità non può essere incolpata perché si basa sulla società, se c’è qualcuno che deve
cambiare prima che cambi la pubblicità è la società.
Io ho risposto: la società siamo noi e solo noi possiamo cambiarla.
Nel dire che la società è così non perché è stata catechizzata da anni e anni di adv huggies stai commettendo
un errore. Perché se è vero che la pubblicità non (dovrebbe) catechizza, è anche vero che alimenta l’immaginario.
Non è colpa della pubblicità, ma di certo questa non aiuta a superare certi stereotipi, anzi li alimenta. E ripeto, non penso di dover essere io a spiegarti perché, ma se proprio vuoi posso cercarti qualche articolo interessante. Il bello di internet è che quasi tutto è a un paio di click di distanza.
Nel mio commento io critico la tua posizione riguardo l’indignazione che ha suscitato questa pubblicità. Fai benissimo
a dire che bisogna riprendersi il ruolo educativo che compete ai genitori, sicuramente questo è un’altro grande problema. Quello che non capisco è che bisogno c’è di tirar fuori questo atteggiamento annoiato, quasi derisorio nei
confronti di chi quella pubblicità sessista non la vuole.
Come ho scritto su Facebook, ognuno sceglie il proprio modo di impegnarsi e non gliene si può fare una colpa: firmare una petizione, fare una manifestazione, lo sciopero della fame; sono comunque tutti modi validi, poi certo c’è l’ipocrisia, ma qui non ho mica letto dei riferimenti validi all’ipocrisia di chi ha firmato quella petizione.
Io non voglio che tu suggerisca al copy di huggies cosa scrivere, ma il tuo articolo sembra una mossa (di marketing?)
per accaparrarsi la simpatia di chi, superficialmente, è stanco di queste polemiche e poi schiaffare una banale riflessione sul ruolo genitoriale.
Ti dirò di più: essere annoiati e deridere questi comportamenti è decisamente dannoso. Magari questa pubblicità lascia indifferente te, che sei più occupata a intenerirti per la delicatezza di un bambino in equilibrio precario sulle proprie gambe, ma ad altri da fastidio, giustamente (siamo d’accordo che è una pubblicità sessista o no?), ed è loro diritto opporsi alla messa in onda di queste cose. Se tu non te la senti di firmare o di non lamentarti saranno affari tuoi, ma criticare la critica senza essere costruttivi denota un’atteggiamento reazionario (per essere costruttivi non intendo far capire ai genitori che la pubblicità non ha un ruolo educativo, quella è un’altra battaglia, e tu fai bene a portarla avanti.), mi fa capire che a te, in fondo, quella pubblicità piace! E non credo sia così… o almeno spero, altrimenti avrei perso il mio tempo qui…
Ti voglio lasciare con un passo di Gramsci: “[…] Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano. [….] Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto a ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente di ciò che ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover starter con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosche succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato, perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”
Chiedere di riprendere per le mani il proprio ruolo genitoriale è un atteggiamento costruttivo. Io non faccio la critica della critica, propongo soltanto un altro punto di vista. Grazie al cielo solo libera dall’adv e anche dagli stereotipi. 5.000 firme nel mare magnum dei genitori italiani è decisamente poco. Ci sono anche coloro che quella petizione non l’hanno firmata e possono avere un’opinione differente che non troverà molto spazio visto che non faranno certo una petizione contro la petizione. Non ha senso.
Sono contenta che anche un art director abbia dei punti in comune con il discorso che facevo. D’altronde sono circa 15 anni che mi occupo di questi argomenti… qualche cosa l’avrò imparata 🙂 Il passo di Gramsci lo conosco a memoria, usato mille volte con gli scout per sottolineare l’importanza dell’impegno. In pratica dice che non sono “affari miei”, ma “affari nostri” ed è anche il motivo per cui ci troviamo a discutere dello stesso argomento pur avendo posizioni nettamente diverse.
Chiedere di riprendere per le mani il proprio ruolo genitoriale è un atteggiamento costruttivo. Io non faccio la critica della critica, propongo soltanto un altro punto di vista. Grazie al cielo solo libera dall’adv e anche dagli stereotipi. 5.000 firme nel mare magnum dei genitori italiani è decisamente poco. Ci sono anche coloro che quella petizione non l’hanno firmata e possono avere un’opinione differente che non troverà molto spazio visto che non faranno certo una petizione contro la petizione. Non ha senso.
Sono contenta che anche un art director abbia dei punti in comune con il discorso che facevo. D’altronde sono circa 15 anni che mi occupo di questi argomenti… qualche cosa l’avrò imparata Il passo di Gramsci lo conosco a memoria, usato mille volte con gli scout per sottolineare l’importanza dell’impegno. In pratica dice che non sono “affari miei”, ma “affari nostri” ed è anche il motivo per cui ci troviamo a discutere dello stesso argomento pur avendo posizioni nettamente diverse.
AGGIORNAMENTO:
L’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria ha stabilito che:
Il Presidente del Comitato di Controllo visto il telecomunicato “Huggies bimba e Huggies Bimbo. Per un asciutto su misura”, trasmesso sulle reti RAI e Mediaset nel mese di giugno 2015 ritiene lo stesso manifestamente contrario agli art. 10 – Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona – e 11 – Bambini e adolescenti – del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale. Il messaggio, volto a promuovere la linea di pannolini “Huggies bimbo” e “Huggies bimba”, per ‘catturare le differenze’ e garantire un ‘asciutto su misura’, tenuto conto delle diverse esigenze di assorbenza per maschio e femmina, si incentra sulla presentazione di diversi modelli e ruoli tra bambino e bambina.
Nello specifico, si propongono:
– per la bambina gli stereotipi del pensare a “farsi bella”, “cercare tenerezza” e “farsi corteggiare da un uomo”;
– per il bimbo si ricorre al desiderio di “fare goal”, di “avventure” e “cercare le donne”.
Le diverse necessità, a livello fisico, di raccolta della pipì per bambini e bambine vengono quindi estese ai desideri futuri dei protagonisti, inquadrati semplicisticamente e manifestati in stereotipi di genere. Ad avviso del Comitato di Controllo, considerate anche le numerose segnalazioni ricevute, una tale narrazione è suscettibile di porsi in contrasto con l’articolo 10 del Codice, laddove prevede il divieto di “ogni forma di discriminazione, compresa quella di genere”. È noto che a diversi livelli si è sviluppata nella società civile una massa critica, che mira a sollecitare una maggiore consapevolezza sui temi della dignità della persona e del rispetto dell’identità di genere. Non è certamente la proposizione di un modello convenzionale o ricorrente di per sé ad essere invisa, ma la banalizzazione della complessità umana, quando il modello viene vissuto con una carica deterministica, restrittiva e pertanto degradante, quasi che necessariamente la donna debba essere “bella, madre e preda” e l’uomo “goleador, cacciatore e avventuroso”. Simili comunicazioni, anche aldilà delle intenzioni, veicolano contenuti che cristallizzano modelli non sentiti più attuali e comunque rigidamente restrittivi, che come tali sono suscettibili di urtare la sensibilità del pubblico, in quanto rappresentano ostacoli per una società moderna e paritaria. Oltre a ciò tali comunicazioni, come nel caso del telecomunicato Huggies, hanno ripercussioni anche sui minori, non ancora pronti ad una corretta elaborazione critica del messaggio pubblicitario cui possono certamente essere esposti considerando il mezzo di diffusione utilizzato, potendo creare non solo disordine nel loro immaginario, ma soprattutto la possibilità di banalizzazione della figura femminile e maschile abusando della loro naturale credulità e mancanza di esperienza.
http://www.iap.it/2015/06/n-3715-del-12615/
Inoltre:
Non essendo pervenuta dalle parti interessate alcuna opposizione, il provvedimento ha acquistato efficacia di decisione e pertanto la pubblicità dichiarata non conforme al Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale non dovrà essere più diffusa.
https://www.change.org/p/huggies-rimozione-campagna-pubblicitaria-huggies-bimbo-bimba/u/11165733
Tutto questo grazie a quegli ipocriti di Change.org.
Tocca capire se poi compreranno anche questi pannolini o no!